Entra nella capanna e si siede alla scrivania, davanti a Lezioni di musica. Questa è la sua storia; questo è il suo voto. Potrebbe riscriverla, strappare le pagine, insistere sui valzer e tralasciare i requiem, eliminando ogni traccia di tristezza dalla sua vita e dalla notazione. Ma a scegliere la chiave – maggiore o minore – è il compositore, non la composizione. Trova le pagine bianche e comincia a riempirle di suoni. Disegna il pentagramma a mano, poi inserisce le note e tesse la melodia.
La chiave di violino è un pennacchio di fumo arricciato. Può esistere musica senza tempo? Perché no? La vita è così. Al posto della misura, mette semplicemente un punto. La vita è un étude, un esercizio, un’occasione per affinare le proprie capacità? Un’improvvisazione o un’opera d’arte? Scrive: Grave. Ma le note che si levano in aria non possono essere gravi. Perciò aggiusta il tiro: Fortissimo, con tutta la forza di una farfalla. Ma nemmeno questo è corretto.
Dopo aver barrato entrambe le istruzioni, alla fine decide: Ad libitum. Quattro note sono tutto ciò che serve per comporre l’uomo, il falco, il capolavoro. Questa sarà la sua scala. I passaggi salgono al cielo e precipitano in bui anfratti. Gli accordi sono inversioni, perché tutto è inversione. Un bambino che muore dentro, invece di vivere fuori. Un uomo che si fa polvere. Una perdita che diventa conoscenza. Ripeti i passaggi. Ancora e ancora. Aveva fatto del suo dolore un leitmotiv. E questa non è musica; è follia. Si ferma per un attimo e scrive: Poi, smetti. La sua vita era stata così piena di imprevisti, una continua deviazione dalle attese. Tutto sembrava un errore. Nella sua nuova lucidità, nulla potrebbe sembrarle meno vero. Perciò aggiunge queste note al suo brano. Il dolore appiattisce lo spirito. Il dolore affina il cuore.
Lei trasforma tutte queste note in armonici naturali. Le note decadono proprio come i corpi. E lei lo consente, sapendo che le vedrà rinascere nella battuta successiva. Canta a voce alta. Passerotto, passerottino blu, da dove viene tutto quel blu? Perché ha mangiato un frutto blu. E si è dimenticato di gustarne la dolcezza, si rimprovera la donna. Passerotto, non lo sai che il frutto è fatto apposta? Poi trasforma il passerotto in un cigno, muto fino al momento della morte, quando finalmente prorompe in tutta la bellezza che non ha potuto esprimere in vita. In un canto che non è un lamento, ma un alleluia, un canto di gioia.
Tratto dal libro “Crescendo” di Amy Weiss
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